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Pietas Apuliae

  • Immagine del redattore: Cotidie, sul filo dei giorni
    Cotidie, sul filo dei giorni
  • 28 lug 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 29 lug 2022

Racconto di residenza, Altamura estate 2022


Profumo di caffè, pane e focaccia. Sole forte sopra le nostre teste. Il mio cappello rosso, protegge il capo, ma sento lo stesso il calore del sole. Passeggiata dopo passeggiata. Nasi all’insù che scorgono balconi fioriti, arcate e terrazze. Gerani. Gerani rossi, belli, gioiosi. Sguardi che guardano il blu. Le rondini con il loro garrito che tessono nel cielo andando avanti e indietro come navette di telaio. Tessono traiettorie invisibili sull’azzurro ordito.

Le campane suonano. Ci riportano sulla terra. Una signora molto elegante attraversa la piazza con passo sicuro e svelto. Penso alla focaccia che mangiammo ieri, quella dell’antico forno.

Riempiamo l’acqua alla fontana pubblica, quella sotto porta Matera.

Riposiamo un po’, al fresco degli alberi della villa comunale. Fortunati, ci ritroviamo a guardare le scene di un matrimonio. Spettatori di un film senza protagonisti, solo comparse colorate e vivaci. A tratti provate e sofferenti. Ma nel complesso felici. Evviva gli sposi! Evviva l’Amore!

Finito il pranzo e svanito il film, ritorniamo in centro. Il tragitto lo stabilisce l’ombra. Consigliamo il luogo della nostra siesta a due turisti. Respiriamo la controra. Solo noi e qualche sparuta anima, camminiamo per le vie del centro.

Poi è il tempo di un funerale. Questa volta niente colore, se non quello di un carro completamente ricoperto di corone di fiori e del suo autista dagli audaci capelli lunghi e baffi corvini.

Cerchiamo riparo in un bar. “Due caffè, grazie”. E lì si rimane. Un po’ vinti dal torpore delle prime ore del pomeriggio e un po’ cullati dal piacevole fresco che l’ombra della via riesce a trattenere. Così, dal tavolino del bar, senza più cappello rosso, ma con occhiali da sole sul naso, sonnecchianti, osserviamo gli elaborati ricami della pietra. Sempre fonte di stupore e meraviglia.


Friniscono le cicale nel loro fedele cantar. Così passeggiando tra le dolci colline murgiane, godiamo del prezioso tacere degli umani rumori godendo del canto che tanto sa d’estate. I fiori delle carote selvatiche ondeggiano al vento leggero. Educatamente ci porgono gentili saluti al nostro passaggio.

Il sole è quasi al tramonto. I bombi indaffarati si posano di fiore in fiore, attenti e concentrati nel loro lavoro. Una lucertola attraversa la strada. Un falco si alza in volo. Giro giro tondo. Disegna cerchi nel cielo corallo. Ha forse avvistato la sua cena? Naturalmente. All’improvviso qualcosa a terra, proprio lì sul ciglio, richiama la nostra attenzione. Un bastone da pastore. “Vincastro” lo definisce Francesco. È la prima volta che sento questa parola, ma mi piace, ha un bel suono. È come una melodia. Un canto della terra alla terra. Un ode ai suoi doni. Un inno che tanto sa di umile lavoro, muretti a secco e masserie bianche sperdute tra le rigogliose lande di questa terra che potrebbe apparir desolata e arida, ma che tutt’altro è, per chi col cuore sa ascoltare e attendere.


Tra Santi, Angeli, Cristi e Madonne, Santa Giovanna continua a guardarci dall’alto del soppalco della bottega. Odore di carta, colla, colori, ci avvolge e apre cassetti della nostra memoria. Tiretti pieni di ricordi di tempi leggeri e spensierati. Stella Ciardo (maestra della bottega Gallucci di Lecce) amica preziosa, sorella di cammino, affianca Francesco, nell’esecuzione del suo lavoro, l’estofado de oro sul vincastro trovato durante la nostra passeggiata.

Io, a un lato del grande tavolo centrale mi faccio più piccola possibile, e mi accingo allo studio di antiche miniature. Uno studium così piacevole e dolce che il tempo par fermarsi eppure scorre veloce. Passano così le mattine in bottega, tra una stesura di colla di coniglio, una di gesso e una di oro. Tra le pagine di antiche miniature, bozzetti per il ricamo e appunti di cose che ho paura di dimenticare.

Mi mancava la ricchezza della povertà della vita di bottega, quella autentica e genuina. Una ricchezza Reale. Una povertà che sana e rinvigorisce lo spirito.


Intreccio di cardi. Due leoni a presenziar. Severi e giusti. A destra la Vergine intenta nell’ascolto. A sinistra l’Arcangelo Gabriele con un dono per Lei e la sua domanda. In alto, al centro, la Madonna col frutto di quel “Ecce Ancilla Domini”, la sua risposta.

Ci sediamo sul muretto dinnanzi al portale della cattedrale e in silenzio ci nutriamo della meraviglia dell’enorme libro che abbiamo davanti ai nostri occhi. Un libro scritto per tutti, un libro che neanche una tempesta di fulmini ha potuto distruggere.

Ritorniamo su quei ricami che anche altri giorni hanno silenziosi attirato la nostra attenzione. Ne traccio i contorni e cerco di immaginarli poi su tessuto.

Entriamo e ci facciamo curare dal fresco delle spesse mura. Un po’ di ristoro. Ed eccoci nel cuore di tutto. Un cuore luminoso e prezioso.

La luce entra dalle vetrate e rischiara l’aere tutt’intorno. E così dentro.


Punto dopo punto, il disegno prende forma e consistenza. Brillanti sete colorano giorno dopo giorno il tessuto tirato al telaio. Poi, per ultimo verrà il momento dell’oro. Seduta alla mia madia in cucina, ricamo, approfittando delle ore di luce. Mi siedo e ricamo, silenziosa. La mia mente va. I miei pensieri come barche a vela sollecitate da un vento favorevole prendono velocità e solcano mari conosciuti, e altri un po’ meno. Ed è la meraviglia.

La mia mente, ripercorre le vedute sulla città di chi prima di noi vi ha passeggiato, ne è stato ospite. Racconti che riecheggiano, come canti per le vie della città dalle alte mura. Che stia ora riposando nel suo pacato trascorrere dei giorni? Non è importante. La leonessa di Puglia è ancora qui, in tutta la sua eleganza, in tutta la sua regale fortezza.

E noi, piccoli pellegrini, offriamo la nostra umile restituzione di ciò che in questi giorni abbiamo vissuto e assaporato. Della grazia che ci ha nutrito e nobilitato. Di questo fazzoletto di Puglia, crocevia di racconti e sentieri, offriamo la nostra veduta, come fugace volo di rondine. Suonano le campane, tocco dopo tocco. Punto dopo punto è tempo di riprendere il cammino.


Come rosa fiorisce, ricamata.

Ricamata di seta e oro.

Tra fiori e cardi, se ne sta,

in tutto il suo pudore.

Come nella pietra,

custode di sapere

Ora su tessuto,

È il suo silenzioso, nobile fiorir.


Ecce Ancilla Domini.


//


Foto:

Giulia Gazza, Ecce Ancilla Domini, opus anglicanum, seta e oro 24 carati

(dettagli e processo di creazione)


Pietas Apuliae

Giulia Gazza - Francesco Romanelli

a cura di Antilia Gallery

Ex conservatorio Santa Croce, Altamura (Ba)

2022


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Cotidie

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